Fantasy in salsa europea: La Storia Infinita

 Nella grande festa cinematografica che è stata il decennio ottantino, le luci della ribalta nel genere fantasy/avventuroso non sono necessariamente tutte puntate sul continente americano, ma c'è spazio anche per qualche excursus europeo: l'esempio perfetto è questo autentico film simbolo del decennio, La Storia Infinita.

A metà tra l'avventura urbana e il viaggio nel fantastico, il film sul libro più immersivo della storia saprà conquistare il cuore di tanti spettatori, europei e non.

Il film sul magico libro in realtà è tratto da un omonimo libro (che sempre del magico libro parla), ma ne adatta solo la prima metà.
Per la seconda bisognerà attendere il sequel, ma i necessari rimaneggiamenti di trama non fecero la felicità dell'autore originale, Michael Ende, che chiese l'interruzione delle riprese o il cambio di titolo per il film, e non ottenendo nessuna delle due cose finì per fare causa ai produttori, perdendo.

Il leggendario brano portante venne composto dal pioniere della musica elettronica Giorgio Moroder, e cantato da Limahl, un tempo leader dei Kajagoogoo, e Beth Anderson.

Si dimostrò un immediato successo, scalando le classifiche europee e americane, ma nonostante questo, nella versione tedesca del film non è presente.

Col senno di poi, risulta assurdo che un film così radicato nelle menti e nei ricordi di chi quegli anni, più o meno, li ha vissuti sia stato demolito dalla critica (americana), all'epoca, ma questo prova ulteriormente quanto le opinioni della critica possano essere fondamentalmente risibili, da più punti di vista e in più periodi storici.

Quel che è certo è che La Storia Infinita rimane un caposaldo della cultura pop anni '80, come dimostrano i continui riferimenti, le continue cover del brano principale e le generali ispirazioni che questo film ha provocato.

Mahou no Yosei Persia: Primo episodio per la maghetta Evelyn

 Una settimana esatta dopo aver salutato Creamy Mami, ecco che entra in scena una nuova maghetta dello Studio Pierrot, pronta a portare avanti la lunga serie di avventure da sogno che diventeranno uno dei grandi simboli degli anime anni '80: Persha, da noi conosciuta come Evelyn e protagonista della serie (quasi) omonima.

Ci sono, però, delle grosse differenze tra Persha e Creamy, tra cui una che è veramente unica nel panorama delle serie majokko dello studio Pierrot...

Ironia della sorte, le differenze principali stanno nelle origini della protagonista, per più motivi diversi: al contrario di Yu, Persha/Evelyn è cresciuta in un ambiente selvaggio, nel profondo dell'Africa, insieme a diversi amici animali decisamente lontani dalla caotica seppur pacifica Tokyo (in cui comunque viene mandata).

La seconda differenza fondamentale è che Persha è l'unica maghetta ad avere origini manga: esiste infatti una serie, concentrata però sulla comicità slapstick della ragazza cresciuta nella giungla, chiamata "Persha ga Suki!" pubblicata nel 1984 sulla rivista per ragazze Margaret.
C'è, però, da dire che le differenze tra le due opere sono molte, essendo la magia totalmente assente nel manga.

La grande macchina delle maghette Pierrot, quindi, fa un piccolo passo indietro (Persha è più vicina a Minky Momo che a Creamy) per poter proseguire sempre dritto verso i grandi successi non solo passati e presenti, ma anche futuri.

Accompagnata da tre piccoli kappa e da un gattone, la cara Evelyn saprà trasformarsi più e più volte (sempre con una qualche formula bizzarra) per poter portare amore a tutte le persone che incontra.

Canto del cigno: Considerazioni finali su Magical Angel Creamy Mami-L'Incantevole Creamy

 La fine di giugno 1984 era anche la fine di un'era (e l'inizio di un'altra) sulle tv giapponesi, perché giungeva a conclusione Magical Angel Creamy Mami, da noi estremamente famoso come L'Incantevole Creamy.

Erede spirituale di Minky Momo, Creamy volle puntare a un pubblico nuovo e rinnovato in maniera multimediale, seguendo la scia di Macross ma con uno spirito decisamente più quotidiano e leggero.

Tentativo, da parte dello Studio Pierrot, già, per quanto giovane, estremamente famoso per Lamù, assolutamente azzeccato, per tanti motivi.

In principio c'erano le prime maghette, ragazze magiche in un mondo perlopiù magico; poi venne l'idea di Creamy, dove la magia trova casa in uno scenario più terreno e urbano: i quartieri alla moda di Tokyo, ma a misura di ragazzini, e le luci dello spettacolo dello star system giapponese, con le sue gioie e i suoi dolori.

Inizialmente, i mondi magici la fanno maggiormente da padrone, per mantenere un legame con le abitudini del pubblico, ma appurato che la sperimentazione funziona, e raddoppiato il numero di episodi da 26 a 52 grazie ai grandi ascolti, si poté aumentare lo spazio delle scene di vita quotidiana, di fatto "inventando" il genere delle maghette anni '80.

Per questa ragione, L'Incantevole Creamy risulta essere una serie un po' confusa, in un certo senso, e con troppe anime diverse, ma allo stesso tempo molto coraggiosa e innovativa, soprattutto col senno di poi e tutti i seguiti che ha generato.

Una certa "cautela narrativa" era, infatti, inevitabile, data la forte carica innovativa della serie e il rischio di un flop per manovre troppo azzardate.

Flop che non ci fu, anche alla luce del secondo scopo di Creamy Mami: lanciare la carriera della giovane idol Takako Ohta, doppiatrice dell'eroina in entrambe le sue vesti e cantante delle canzoni della serie, che dopo quest'opera comincerà una carriera (più o meno) attiva tutt'oggi e con più di venti album all'attivo.
Proprio come nelle scene finali dell'ultimo episodio (che in italiano ci siamo persi), quindi, la nostra Yu è cresciuta bene.

Con la sua conclusione L'Incantevole Creamy passa, dunque, alla storia, chiudendo, in un certo senso, un'epoca, e lanciandone un'altra, quella delle maghette "del mondo reale" che inseguono sogni più concreti e servono a lanciare nuove stelle di successo.
Almeno finché non cominceranno a combattere il male, ma questa è un'altra storia.

Grazie, dunque, Creamy, per aver spianato la strada per uno dei generi anime più popolari degli anni ottanta, sia in Giappone, che qui da noi.

Amore e arti marziali: The Karate Kid

 Se Frank Miller e le Tartarughe Ninja avevano contribuito in maniera notevole allo "sdoganamento" di oriente e arti marziali negli Stati Uniti (anche se per le Tartarughe, tecnicamente, è ancora presto), c'era ancora un tassello mancante perché la moda partisse definitivamente: The Karate Kid, leggendaria pellicola giovanile che ha travolto l'immaginario collettivo come un fiume in piena.

Come nasce questo fenomeno di costume che ha dato vita a tanti sequel e iscrizioni ai corsi di karate?
Vediamolo insieme...

L'idea di base trova fondamento sulla vita vera dello sceneggiatore Robert Mark Kamen, che in gioventù imparò una variante di Okinawa del Goujuu-Ryuu Karate per difendersi dai bulli.

Nello stesso periodo, il produttore Jerry Weintraub si era interessato a un articolo riguardo al figlio di una madre single che era diventato cintura nera di karate per lo stesso motivo di Kamen, e la fusione delle due storie ha, appunto, dato vita a The Karate Kid.

Ralph Macchio venne scelto per il ruolo del protagonista Daniel, ma ha dovuto superare diversi avversari illustri già prima di cominciare le riprese: tra gli attori considerati per il ruolo, infatti, figuravano Robert Downey Jr., Tom Cruise e Sean Penn.

A proposito di attori: il mitico Pat Morita non fu inizialmente scelto come interprete del maestro Miyagi, per cui si voleva reclutare Toshiro Mifune; Mifune, però, non parlava una parola d'inglese, quindi non era il caso.
Di contro, Morita si fece crescere la barba e imparò l'accento più spiccatamente giapponese da suo zio, riuscendo quindi a conquistare il ruolo.

Con la sua storia "scalda-cuori" e il suo fascino vagamente orientaleggiante, The Karate Kid sarà un grandioso apripista per la moda delle arti marziali in occidente, non senza prima chiedere permessi speciali, però: c'è un personaggio della Legione dei Super Eroi della DC Comics che si chiama, appunto, Karate Kid, ma la DC stessa ha dato il permesso per l'uso del nome per il film e i suoi, numerosi, sequel.

Paura, ma non troppa: Gremlins

 C'è una leggenda che risale alla Seconda Guerra Mondiale: scherzosamente, le forze aeree britanniche avrebbero incolpato degli eventuali malfunzionamenti ai motori dei loro aerei i dispetti di alcuni mostriciattoli chiamati Gremlins.

Da quest'idea, e altre successive come il noto cartone di Bugs Bunny "A Falling Hare" nasce il concetto dietro al film intitolato, appunto, Gremlins, commedia horror uscita nelle sale contemporaneamente a Ghostbusters e diventata un autentico cult.

Vediamo com'è nata la storia dei Mogwai, dei loro problemi con l'acqua e dei loro spuntini notturni...

L'idea iniziale venne allo sceneggiatore Chris Columbus, provocata da qualcosa di tanto inusuale quanto, tutto sommato, poco sorprendente col senno di poi: nel suo loft, di notte, si scatenava un intero battaglione di topi e il baccano che facevano era a dir poco inquietante.

Il prototipo piacque molto al direttore esecutivo Steven Spielberg, che decise di comprarlo e farlo trasporre in pellicola.
La storia originale era molto più dark, mentre presto si virò verso quella che è a tutti gli effetti una "black comedy" con ambientazione natalizia, nonostante l'uscita estiva.

Tra le tecniche pensate per dare "vita" ai Gremlins si era ipotizzato di usare scimmie in costume, ma queste sono andate nel panico appena si è cercato di far indossare loro il casco e l'idea è stata scartata immediatamente.

Si optò, dunque, per pupazzi meccanici e marionette, cosa che si rivelò impegnativa soprattutto per il piccolo mogwai Gizmo: essendo, appunto, minuto, per farlo spostare in giro per il set durante la registrazione delle varie scene spesso si doveva nasconderne un modello e tirarne fuori un altro senza finire inquadrati.

Solo che i mini-Gizmo finivano per rompersi piuttosto facilmente, cosa che faceva innervosire parecchio lo staff; per le scene in cui Gizmo e gli altri mogwai erano inquadrati molto da vicino, vennero costruiti dei pupazzi molto più grandi, e realizzato, per esempio, del cibo in scala "ingigantito" per quando i piccoli mostri mangiano dopo mezzanotte.

Lamentele di genitori che credevano di portare i figli a vedere E.T. 2.0 e si sono invece ritrovati una strage di mostri crudeli a parte, Gremlins sarà il secondo film più visto nel suo week-end di debutto (dietro, ovviamente, a Ghostbusters) e, soprattutto, diventerà un piccolo cult con annessi seguiti e parecchio merchandising.
Per fortuna almeno i pupazzi di Gizmo con l'acqua non fanno scherzi.

E chi chiamerete? Ghostbusters

 Dan Aykroyd viene da una famiglia particolare: il padre ha scritto il libro A History of Ghosts, la madre afferma di aver visto dei fantasmi, suo nonno ha fatto esperimenti con le onde radio per contattare i morti e la bisnonna era una medium.

Ecco perché, quindi, un giorno gli è balzata nella mente l'idea dei Ghostbusters, avventurieri al servizio del cittadino contro le inconvenienze dell'oltretomba: inizialmente il film avrebbe dovuto avere un mood un po' più serioso, un'ambientazione cosmica, e un gruppo di eroi in giro per lo spazio e il tempo a dar la caccia agli spiriti, e un diverso team di attori coinvolti: lui, Eddie Murphy e John Belushi.

Proprio la scomparsa di Belushi si tramutò, ovviamente, in un grosso ostacolo per la produzione del film (Aykroyd lo venne a sapere proprio quando stava scrivendo una battuta per lui, per Ghostbusters), senza contare che l'idea iniziale avrebbe richiesto un budget a dir poco astronomico, eppure, nonostante queste gravi difficoltà, ne è venuto fuori un super classico: vediamo come...

Reclutato Ivan Reitman come regista e cambiato il setting in uno più realistico e terrestre, caratterizzando i Ghostbuster come dei disinfestatori del paranormale appena messisi in società (nei primi anni '80, negli Stati Uniti, era frequente che venissero aperte nuove attività), entra in scena Harold Ramis come co-sceneggiatore, unendosi poi anche alla banda di avventurieri come Egon (il cui look fu ispirato dalla copertina di un giornale di architettura astratta, e il cui nome e cognome vennero ideati da Ramis stesso ispirati a un suo compagno di scuola di origine ungherese e da uno storico tedesco).

Ottenuto l'ok dalla Columbia per l'inizio della realizzazione del film, restava però un ostacolo: il nome Ghostbusters era già occupato, di proprietà della Universal, per via di uno show per bambini degli anni '70.
Il dirigente della Columbia Frank Price, che aveva concesso la realizzazione del film, lasciò la compagnia poco dopo l'inizio della collaborazione, passando alla...
Universal, e vendendo così il titolo a Columbia senza troppi problemi.

Tuttavia, dato il successo del film, un paio d'anni dopo la serie anni '70 ottenne un sequel animato: sono i famosi "Ghostbusters della Filmation", ed ecco spiegato perché esistono due franchise diversi con lo stesso nome.

Sigourney Weaver stupì tutti, in fase di provino, perché era famosa per ruoli più seriosi, come Alien, ma aveva un grosso background comico grazie alla sua scuola di recitazione: durante l'audizione si mise a quattro zampe ululando come un cane, e fu proprio da questa base che le venne l'idea per la possessione del suo personaggio, Dana; questo aiutò molto anche la fase di sceneggiatura, visto che diede ai protagonisti interessi più personali nella battaglia contro Gozer il Gozeriano.

Per quel che riguarda il leggendario Uomo della Pubblicità dei Marshmallow, l'idea iniziale fu di Aykroyd, e una delle prime idee che ebbe per il film, disegnato da un suo amico come un mix dell'omino Michelin e di un'altra mascotte americana, Pillsbury Doughboy.
Per la scena della sua esplosione vennero utilizzati 34 chili di schiuma da barba, dopo che i precedenti 68 mandarono k.o. uno stuntman.

Dall'essere la commedia più costosa della sua epoca, Ghostbusters divenne il secondo film con maggiori incassi del 1984, e il trentasettesimo film di maggiore incasso di sempre, ma soprattutto, divenne un immortale cult.

Come la sua canzone portante, il brano omonimo di Ray Parker Jr. che fa da portabandiera di una colonna sonora, in generale, solidissima: venne accusata di plagio da Huey Lewis and the News per la somiglianza (soprattutto nel giro di basso e tastiera) con il brano I Want a New Drug del 1983, ma la cosa venne patteggiata nel 1985; anche Harvey Cartoons denunciò la produzione del film, dicendo che il fantasma dell'iconico logo fosse un plagio al personaggio di Ciccia (Fatso) di Casper, chiedendo 50 milioni di dollari e la distruzione di tutte le copie del film.
Non vinse, ovviamente.

Moltissimi film hanno omaggiato, citato e fatto riferimento al primo, mitico Ghostbusters: uno tra tutti The Avengers, con la celebrazione finale per le strade ispirata, appunto, alla scena finale della prima avventura degli acchiappafantasmi.

Viaggio in Oriente: Indiana Jones e il Tempio Maledetto

 La coppia d'oro Steven Spielberg/George Lucas era ancora ben lontana dall'aver concluso la sua collaborazione creativa, nel maggio del 1984, quando vede la luce, o meglio, il buio delle sale cinema la nuova avventura del padre di tutti gli archeologi avventurosi, Indiana Jones e il Tempio Maledetto.

Di maledizioni ce ne sono state diverse anche nelle varie fasi creative che hanno portato all'uscita del film, ma di questo parleremo tra poco...

Fuggito per miracolo (come al solito) da un attentato a Shanghai, Indy, accompagnato da un aiutante orfanello di nome Shorty e da una cantante di night club finita in mezzo al macello quasi per caso, si ritrova improvvisamente in India, dove riceve riparo in un piccolo villaggio che, però, soffre di grandi sventure da quando gli è stata trafugata una pietra sacra.

Il nostro accetta di recuperare l'oggetto, ma intorno ad esso si erge una realtà ben più inquietante...

Inizialmente, tra le idee del duo creativo per la trama del film c'era un'avventura cinese ispirata al Viaggio in Occidente (che ispirò anche Dragon Ball), ma le difficoltà a ricevere permessi per girare in Cina fecero cambiare rotta ai nostri, adattandosi a un'avventura indiana (con delle pietre sacre da cercare, quindi alla fine il legame con l'opera di Toriyama, in un altro senso, è rimasto, d'altronde il nostro Akira è un fan di Indy...).

Anche le riprese indiane sono state, però, sfortunate, perché il governo locale chiese di poter visionare prima la sceneggiatura e poterla modificare secondo la loro sensibilità, ma, offesi da troppe cose, resero quasi impossibile riuscire a venirsi incontro e, di conseguenza, la lavorazione del film dovette essere fatta in zone meno problematiche.

Problematica fu anche una certa scena d'azione che causò a Harrison Ford un'ernia del disco, che rese necessarie cure mediche approfondite ma che non gli impedì di concludere le riprese.

Indiana Jones e il Tempio Maledetto viene considerato, seppur avventuroso e con tanti elementi ironici e divertenti, più "dark" rispetto al primo capitolo della trilogia, questo anche perché è stato scritto in un periodo in cui sia Lucas che Spielberg erano in pieno divorzio.

Questa maggiore "cupezza" non mancò di indignare i critici dell'epoca, sempre pronti a dare opinioni che il tempo smentirà terribilmente; il film rischiò di essere vietato ai minori (per scene che oggi non sono nulla di così traumatizzante, per inciso), e spinse la produzione a convincere l'MPAA a creare un nuovo "target" tra il PG "per tutti" e il Rated R: nasce così la classificazione PG-13, oggi popolarissima, ad esempio, per quel che riguarda i film Marvel.

La seconda avventura di Indy cambia luogo e data (è infatti un prequel de I Predatori dell'Arca Perduta) ma non il mix di avventura "archeologica" e azione smodata, con momenti forse più inquietanti ma tanto, tanto divertimento a monte.

Fantasy in salsa europea: La Storia Infinita

 Nella grande festa cinematografica che è stata il decennio ottantino, le luci della ribalta nel genere fantasy/avventuroso non sono necessa...